Skeggvaldr: la storia, e la lingua, dietro il nome

Un nome. Una sorta di riferimento per gli articoli pubblicati su questo blog, ma che in realtà rappresenta molto di più di quanto si possa pensare. Nel primo articolo, intitolato Iniziazione, si era discusso del senso di questo blog. Ad oggi, felice del riscontro ricevuto, ho deciso di svelarvi la storia dietro questo epiteto: Skeggvaldr.

Questo nome è stato formato sul modello dell’onomastica germanica. Presso le tribù germaniche, contrariamente a quanto avveniva a Roma, la differenza tra il nome e il soprannome era fondamentalmente inesistente, mentre i cognomi erano sostituiti dal patronimico (cioè, il nome del padre coniugato al genitivo e seguito dal suffisso -son per i figli, -dóttir per le figlie). La quasi totalità dei nomi germanici era formata da due elementi, la cui scelta aveva significato augurale per il nascituro, pur non essendo necessario che il nome avesse un significato complessivo ben definito.

Il nome Skeggvaldr è basato sull’Antico Norreno, una lingua germanica parlata dagli abitanti della Scandinavia tra il IX e il XIII secolo, della quale si approfondirà in seguito. Il primo elemento, skegg significa “barba”. Per il secondo elemento, l’etimologia richiede un’analisi più approfondita. Il nome dell’autore di questo blog è Valerio, che deriva dal nomen della gens Valeria, per l’appunto: Valerius. Prima che in Latino si manifestasse il fenomeno del rotacismo, la forma arcaica di Valerius era Valesius. Questo nome affonda le sue radici nel verbo valeō, a sua volta derivato dal proto-Indoeuropeo *h₂welh₁- “governare, essere forti” (che è anche di buon augurio). Ora, *h₂welh₁- ha avuto esito nel proto-Germanico *waldaz il quale in Antico Norreno è diventato… valdr!

Se volessimo pronunciare questo nome come un Uomo del Nord vissuto nell’XI secolo, dobbiamo fare qualche cenno all’ortografia comunemente utilizzata dai linguisti per trascrivere l’Antico Norreno. La ⟨e⟩ rappresenta in questo caso il suono della cosiddetta “e aperta” riscontrata nell’Italiano “letto”. La ⟨v⟩, proprio come in Latino Classico, è la semiconsonante /w/, pronunciata come la ⟨u⟩ nell’Italiano “uomo”. Le altre lettere del nome in analisi, sono pronunciate come in Italiano. In estrema sintesi, un’italianizzazione della pronuncia di “Skeggvaldr” sarebbe “schèggualdr”

Giacché si è accennato in più di un’occasione all’Antico Norreno, vale la pena di spendere qualche riga per parlare di questa lingua straordinaria. Pur non essendoci al giorno d’oggi, nessuna persona che parla il Norreno come lingua madre, sarebbe sbagliato definirlo una “lingua morta” e riporlo nel dimenticatoio della storia. Se coloro che parlano come idioma nativo una lingua romanza, non possiedono la capacità di comprendere testi in lingua Latina (a meno, ovviamente di anni di studi), gli abitanti della ridente Islanda godono di un’intelligibilità pressoché totale nei confronti del Norreno. Vale a dire che gli islandesi possono leggere e comprendere un testo redatto in Antico Norreno nel corso del Basso Medioevo, nonostante leggere variazioni nell’ortografia e nella semantica, così come variazioni considerevoli nella pronuncia.

L’Antico Norreno viene solitamente suddiviso in Norreno occidentale, parlato in Islanda, nelle Fær Øer e in Norvegia, e Norreno orientale, parlato in Danimarca e in Svezia. In realtà la linea di confine tra le due varietà era poco definita, essendo il Norreno un continuum dialettale simile a quello incontrato al giorno d’oggi nell’Italia meridionale. Il Grágás, un codice legislativo islandese risalente al XII secolo, afferma che Svedesi, Norvegesi, Islandesi e Danesi parlassero la stessa lingua, definita nsk tunga (che nei dialetti orientali sarebbe stata chiamata dansk tunga), cioè “lingua danese”.

Oggi la norrœnt mál, “la parlata nordica”, si è evoluta nelle lingue Islandese e Faroese (che ne hanno mantenuto la forma flessiva) e in tre lingue che mantengono una straordinaria mutua intelligibilità: Norvegese, Danese e Svedese.

Il Norreno occidentale ha lasciato traccia di sé nelle lingue dei territorî dove erano presenti insediamenti vichinghi, quali l’Irlanda o la Scozia. Il Norreno orientale, dal canto suo, ha influenzato gli idiomi dell’Inghilterra, e del Rus’ di Kiev. Quest’ultima entità statale (che comprendeva parti del territorio delle odierne Ucraina, Russia occidentale e Bielorussia) deve il suo nome al termine slavo rus’ (derivato dal Norreno roðs: “rematori”), usato per riferirsi alle tribù scandinave che si stabilirono in quelle terre nel corso dell’Alto Medioevo.

Ci sono nove arti da me conosciute –
Io gioco alle tavolette da esperto
Mi sbaglio raramente in fatto di rune;
Leggere, tagliare legno e ferro sono alla mia portata

So sfiorare il terreno con gli sci;
Maneggiare l’arco, remare a piacere;
So piegare il mio spirito all’una o all’altra di queste arti:
Il laio del poeta e il suono dell’arpa.


Il vanto di uno jarl delle Orcadi, tale Rǫgnvaldr Kali Kolsson (Ca. 1103–1158) ci fornisce dati sull’importanza dell’esercizio intellettuale e della scrittura alla pari delle attività o delle competizioni legate all’ambito fisico.

L’origine linguistica va rintracciata nelle lingue Indoeuropee, e in particolar modo negli idiomi noti come proto-Germanici. Quei dialetti proto-Germanici che erano parlati in Scandinavia e si distinsero, nel corso dei primi secoli successivi alla nascita di Cristo, dai dialetti continentali sono indicati dai linguisti come proto-Scandinavi. All’inizio dell’epoca Vichinga, cioè attorno all’800 d.C., questi dialetti erano diventati quello che oggi chiamiamo Antico Norreno.

Questi idiomi sono accomunati dall’accento forte sulla prima sillaba delle parole e altre peculiarità molto evidenti nella declinazione dell’aggettivo a seconda che sia preceduto o meno da un articolo determinativo. Si riporta ad esempio il caso di “un buon uomo”, goðr maðr, in rapporto con “il buon uomo”, hinn goði maðrinn. Si noti come l’articolo determinativo, in questo caso hinn, preceda l’aggettivo goði, venendo invece aggiunto sotto forma di suffisso, -inn, al sostantivo maðr.

Per completezza è opportuno, a questo punto, parlare dell’alfabeto runico usato per scrivere l’Antico Norreno. Questo alfabeto è noto come fuþąrk, dal nome delle prime sei rune riportate negli abecedarî (la ⟨þ⟩ corrisponde al suono del ⟨th⟩ in Inglese). Gli alfabeti runici utilizzati dai popoli germanici erano derivati dai rudimentali sistemi di scrittura usati dai popoli dell’Italia settentrionale, a loro volta adattamenti della forma Cumana dell’alfabeto Greco. Il fuþąrk scandinavo, adoperato a partire dal IX secolo, era uno sviluppo del fuþark germanico, in uso almeno dal II secolo. Paradossalmente, mentre la lingua si arricchiva di nuovi fonemi durante l’evoluzione del proto-Germanico nel Norreno, il numero delle rune venne ridotto da 24 a 16, con la conseguenza che le coppie minime di suoni (ad esempio /p/ e /b/) venivano rappresentate con la stessa runa. La raccolta di poemi in Norreno nota come Hávamál, seppur con diverse distorsioni narrative, ci racconta di come Óðinn (Odino) acquisì la conoscenza delle rune sacrificandosi a se stesso (si noti il parallelo con la crocifissione di Cristo) attraverso l’impiccagione tra i rami dell’“Albero del Mondo”, Yggdrasill. In realtà la conoscenza delle rune è tutt’altro che mitologica. Infatti, nella celebre raccolta Rígsþula si fa riferimento alla conoscenza delle rune presso le famiglie nobili. In quest’ottica, la rappresentazione dell’Altissimo Odino incarna alla perfezione la nobiltà che, come il dio, si dimostra essere depositaria di conoscenze durante l’epoca vichinga.

Il fuþąrk scandinavo, usato per scrivere in Antico Norreno tra l’VIII e il XII secolo d.C. Si ritiene che forma “a rami lunghi”, anche detta “danese”, fosse destinata principalmente alle incisioni su pietra; la forma “a rami brevi”, detta anche “svedese/norvegese” era invece adoperata soprattutto per messaggi scritti sul legno.

E per concludere il breve excursus partito dalla semplicistica analisi di un nome, non posso far a meno che lasciare traccia di me rendendovi partecipi della presenza di testimonianze archeologiche, in merito al linguaggio antico dei Norreni. In particolar modo ho preso in esempio i più celebri e significativi ad oggi portati alla luce dagli archeologi.
Tra le iscrizioni a noi giunte, moltissime invocano Þórr (Thor) o Sigurðr (Sigfrido), altre oltre ad alludere a dèi o personaggi del mito, rappresentano rituali magici.
Su una pietra runica sita a Tystberga in Svezia—una delle tante erette per commemorare i caduti nella spedizione dei Rus’ nel mar Caspio guidata da Ingvar il Viaggiatore, appare una dedica a un certo Holmsteinn: Hann hafði vestarla um vaʀit længi, dou austarla með Ingvari (“Era stato a lungo a occidente, morì a oriente con Ingvar”).
Un esempio più raffinato è rappresentato dall’iscrizione sulla pietra di Djulefors, sempre in Svezia, risalente all’XI secolo, appartenente a quel gruppo di pietre runiche che commemorano le guerre combattute in Italia meridionale contro i musulmani, che recita: Hann austarla arði barði ok a Langbarðalandi andaðis. (“Verso oriente egli arò [il mare] con la sua prora e morì nella terra dei Longobardi”). La “terra dei Longobardi” non è l’odierna Lombardia, ma fa piuttosto riferimento alla Langobardia che a quei tempi corrispondeva grossomodo alla Puglia dei nostri giorni.

Immagine della pietra runica sita a Tystberga, Svezia (Sö 173), XI secolo.
Immagine pietra di Djulefors, Svezia (Sö 65),
XI secolo.

Le iscrizioni fanno dunque trapelare una visione diversa degli Uomini del Nord, molto spesso inquadrati come pirati incalliti e violenti razziatori, che appaiono molto più colti di quanto gli stereotipi non li abbiano storicamente dipinti. Lo svago intellettuale, come ci suggerisce lo jarl Rǫgnvaldr, già citato, soleva essere di grande peso e importanza, tenendo ben conto che la conoscenza del diritto e la parola per un uomo nato nel Nord era di grande importanza. Ma questo è un aspetto che esula dallo scopo originario di questo articolo, da indagare e sindacare in una diversa sede.

In conclusione, un rimando ad alcuni riferimenti bibliografici per approfondire l’argomento:

-R. Boyer, La vita quotidiana dei Vichinghi (800-1050), BUR – Rizzoli, 2018;
-L. Musset, Introduction à la runologie, Aubier-Montaigne, II ed., 1980;
– Snorri Sturluson, Edda, a cura di G. Dolfini, Adelphi, 2016.
-J. Graham-Campbell, Viking Art, Thames & Hudson world of art, 2013.

Altri riferimenti:
J. Crawford, Writing Old Norse in Runes: https://youtu.be/X7Z65582ex4

Contatti:
Carmelo Barnaba: https://twitter.com/CarmeloBarnaba
Valerio Punzi: https://www.instagram.com/skeggvaldr/

In evidenza ricostruzione del villaggio di Birka, presso l’Historiska Museet di Stoccolma. Foto scattata durante il viaggio in Svezia, autore: Elena Carrera.

Cordiali Saluti,
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27 pensieri su “Skeggvaldr: la storia, e la lingua, dietro il nome

    1. L’Ucraina fa parte di quell’area di interesse che in età medievale vede già ben presenti popolazioni slave (con le migrazioni di VII secolo) e per tale si diffonde il linguaggio “slavo”, a sua volta ha radici nel linguaggio indoeuropeo.

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  1. Valerio buondì!
    Da molti punti di vista questo apporto doveva attrarre la mia attenzione.
    Innanzitutto di formazione son linguista, poi perchè la tua prosa è accattivante..
    Inoltre perchè fornisci informazioni per me in parte nuove..
    Mio marito ama visceralmente Wagner e questi riferimenti agli dei ai quali dedicò una sua opera lo faranno gongolare..

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    1. Grazie mille per tutto l’apprezzamento! Spero di soddisfare qualsiasi dubbio storico con gli articoli del blog! Gli déi sono un punto cruciale nella musica Wagneriana anche perché viviamo un periodo storico con un acceso rimando alla mitologia norrena, usata anche come espediente politico.

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      1. Non vedo indirizzi, ma son passata da Instagram…
        Siamo vicini. 🙂
        Son stata a Matera in tempi non sospetti a Santa Maria di Orsoleo e ho visitato la Siritide, spingendomi verso il Museo per ammirare gli ori..

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